05/02/12

Chi ha paura del disabile?


dal sito Editrice Elledici
dal sito Editrice Elledici
Mentre leggo con un certo sconcerto ma senza meraviglia l’articolo di Nicoletti pubblicato su La Stampa, mi ricordo di quando frequentavo la terza elementare, più di 25 primavere fa. Un bambino tetraplegico con ritardi mentali frequentava la nostra scuola, in un’altra classe. Ora che lo ricordo, mi piacerebbe informarmi per sapere che fine abbia fatto. Comunque sia, ricordo come eravamo curiosi nei suoi confronti: era uno sbatterci in faccia una disabilità piuttosto pesante come la sua.


Sarà che io stesso mi sentivo diverso dagli altri, pur non vivendo allora la mia sordità con la consapevolezza che ho ora, ma la sua condizione non mi creava imbarazzo o cattivi pensieri. Credo che anche i miei compagni ed i suoi di allora fossero tutto sommato tranquilli e non si può dire che a quell’età fossimo persone di navigata esperienza tale da conoscere la parola “disabilità” e sapere cosa ne comportava. Tuttavia le maestre erano state molto brave ed intelligenti a farci capire come lui, pur nella sua condizione, era come noi, bisognoso di maggior cure ed attenzioni ma comunque sempre uno di noi. Questa bravura ha fatto sì che pure i bambini della prima e della seconda elementare accogliessero il bambino disabile e lo accettassero come compagno di giochi, un po’ sfortunato ma tant’è… Ogni ricreazione era un momento di condivisione per andare a salutarlo. Talvolta capitava, ovviamente nei limiti delle nostre possibilità, di aiutarlo nella vita scolastica. E non era solo merito del corpo docente di quella scuola ma anche dei genitori che non mancavano di sensibilizzare noi bambini ma anche chi era nuovo in quell'ambiente alla disabilità in generale. Chiaramente certi concetti di diversità ci venivano inculcati nelle nostre teste solo più tardi e per altre esperienze.
Vorrei rimandare ad un altro mio post del blog “Children see, children do” che riprende uno spot australiano della NAPCAN. Il significato profondo di quello spot, che non manco mai di rimarcarlo nelle mie varie partecipazione ad incontri di formazione, è: “i bambini vedono, i bambini fanno”, della serie: siamo noi adulti, non solo con le azioni, ma anche con i pensieri, le paure, le emozioni positive e negative, che condizioniamo i bambini. Quando noi abbiamo paura del diverso, dello straniero o del disabile, anche se non lo diciamo esplicitamente, quei sentimenti li trasmettiamo attraverso il linguaggio del corpo.
Non è certo di imbarazzi o di  traumi che il bambino disabile e i suoi famigliari hanno bisogno. Questa ottusa mamma (come la chiama la giornalista della lettera aperta) forse dovrebbe provare sulla sua pelle quello che provano giorno dopo giorno le famiglie dei disabili (di qualunque patologia soffrano) e dovrebbe riflettere bene sulle conseguenze che al suo bambino possa passare per la testa lo stesso pensiero della madre (come del resto recita lo spot di cui parlavo poc’anzi…). L’imbarazzo e la paura portano al rifiuto: non è proprio il massimo, visti i tempi di esasperazione che corrono… Anche il mondo della scuola dovrebbe fare la sua parte impegnandosi in progetti di informazione e di sensibilizzazione al problema della disabilità per scacciare quella paura e quella caccia alle streghe che certamente non aiuta...
Spero che ci ripensi. Non solo l’ottusamamma dell’articolo ma anche tutte le mamme e i papà che leggeranno questi post.
Complimenti comunque per la bella foto postata da Gianluca, l’autore dell’articolo, ritratto insieme a suo figlio: quanta tenerezza e quanto affetto traspare dai toni chiaro-scuro. Non mi fa paura ma mi emoziona moltissimo.

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