03/10/11

Alla Spezia l'ENS compie 90 anni....


Sabato 1^ ottobre alla presenza del Presidente Nazionale ENS, Giuseppe Petrucci, e di molti sordi, amici, spezzini e non, si è tenuta la festa del 90^ Anniversario dalla Fondazione dell'Associazione Mutua fra Sordomuti della Spezia e della Lunigiana, insieme al 70^Anniversario del Gruppo Sportivo Silenziosi La Spezia.
Qui di seguito riporto il discorso tenuto in quell'occasione.
"Dopo 5 anni, dalla festa dell'85^ Anniversario che avevamo organizzato alla Spezia, ci ritroviamo di nuovo qua tutti insieme a festeggiare i 90 anni in una situazione non certo favorevole, non solo per noi sordi, non solo per i disabili ma anche per tutte le fasce deboli in generale. 
E’ sotto gli occhi di tutti la pesante situazione che stiamo attraversando dove gli effetti di attacchi speculativi stanno indebolendo il Sistema Europa e con esso anche il nostro Paese.
Il fatto di essere in tempi di crisi economica, in cui l'Italia sta attraversando una situazione da molti definita come la più difficile del dopoguerra, non deve però giustificare questa manovra finanziaria che è l'attacco più evidente ai disabili: li si colpisce indirettamente con  tagli agli Enti Locali costretti poi a ridimensionare i servizi offerti, con la sostanziale eliminazione dei Fondi per la non autosufficienza, con il drastico taglio delle Politiche sociali ma anche direttamente con tasse che colpiscono sempre più poveri e sempre meno ricchi.
Sicuramente siamo arrivati in questa situazione per errori che ci trasciniamo dal passato ma ora si fa poco per correggere quegli errori e gettare le basi per uno sviluppo ed una ripresa.
Non voglio dilungarmi più di tanto sugli aspetti politici di quanto ho appena detto: non è il nostro compito e comunque non è questo il momento.
Vorrei solo fare delle riflessioni su quello che ci aspetta, su quello con cui il mondo della disabilità si trova a dover fronteggiare.
Se la politica ci vede come un costo da tagliare, come una voce di bilancio da ridurre, se la parola assistenza  viene associata automaticamente a cifre con molti zeri e non ad un diritto giusto, umano, sacrosanto, sancito dalla Costituzione, è evidente che sbagliamo qualcosa anche noi. Sbagliamo anche noi quando ci troviamo a trattare con i nostri politici e ci accontentiamo dell'elemosina, convinti che "tanto questo è il primo passo e poi in futuro miglioreremo" oppure "meglio così piuttosto che niente".  Il nostro scopo dovrebbe essere quello di mandare messaggi propositivi: far capire che noi disabili, tutti i disabili, siamo persone portatrici di diritti, ma anche risorse che possono contribuire alla crescita della nostra società. Possiamo contribuire alla crescita a patto però che ce lo permettano e che ci diano i mezzi per poterlo fare.
Coma già dissi 5 anni fa, manca ancora la sensibilità, la cultura di accettare l'altro e le sue differenze, che poi differenze non sono. Sicuramente ci ascoltano di più, non metto in dubbio che a livello politico ci sia condivisione, volontà di sostenere le nostre linee, anche se talvolta ci dobbiamo arrabbiare, ma questo non basta. E’ inutile avere un riconoscimento formale delle nostre pretese e delle nostre esigenze nella stanza dei bottoni, quando poi per strada e nella vita di tutti i giorni assistiamo, purtroppo sempre più spesso, ad episodi di ignoranza culturale, di menefreghismo, di paura delle diversità, di tendenza ad annullare o discriminare le diversità.
Forse è il caso quindi di ripensare ad un ruolo più attivo da parte nostra nei tessuti della società, un ruolo di informazione e di sensibilizzazione più capillare, dove ognuno di noi, (dirigente, ex dirigente, soci, sostenitori e simpatizzanti) faccia la propria parte promuovendo quelle che sono le particolarità del nostro mondo, le nostre esigenze, gli scopi della nostra associazione.
Questa società porta sicuramente a nascondere le diversità, ad apparire più belli, più benestanti, più normali per evitare di essere etichettati, di essere discriminati e di non essere compresi appieno. Basta vedere quello che ci propinano i mass media, ogni giorno. Ma non dobbiamo arrenderci, dobbiamo essere orgogliosi di quello che siamo, di come siamo e di come viviamo. Siamo sordi, siamo disabili e questa è una condizione che nessuno può toglierci, che nessuno può sminuire. Nessuno può impedirci di vivere la nostra condizione con dignità.
La nostra storia è sempre stata di lotte e sacrifici per il riconoscimento dei diritti penalizzati anche dal fatto che la nostra è una disabilità che non si vede: ci si accorge dei sordi solo al momento di comunicare o di passargli informazioni. Non “vedendo” il problema, riesce difficile attivarsi per risolverlo.
Ci hanno dichiarato inabili per legge: ancora oggi ricordiamo l’articolo 340 del Codice Civile abrogato nel 1940. Fino ad allora non avevamo diritti: non potevamo sposarci, non potevamo andare a scuola per imparare, non potevamo avere un lavoro, non potevamo comprare ne prendere affitto case. Grazie a Magarotto quell’onta non c’è più: adesso, almeno sulla carta, siamo pari agli altri.
Ci hanno pure considerato Ente inutile nel 1977, ci hanno costretto a trasformarci in associazione di diritto privato, abbiamo mantenuto il riconoscimento come unica associazione di tutela dei sordi ma in molti ci hanno dato per finiti, saremmo rimasti in piedi per qualche anno per poi scioglierci. E invece siamo ancora qui, dopo 90 anni. Siamo ancora qui a rompere le scatole, quotidianamente. Ogni giorno sempre a bussare, sempre a chiedere, sempre a brontolare, sempre a pretendere… Sapete qual’è il bello? Ancora non ci capiscono, si meravigliano per tutta questa rabbia, per tutta questa tenacia, per questa voglia di combattere.. Non capiscono per cosa combattiamo. Camminiamo, facciamo sport, abbiamo la patente, possiamo sposarci, abbiamo pure la nostra pensioncina, abbiamo una marea di agevolazioni, credono che noi abbiamo una vita normale, cosa vogliamo di più? Questo è quello che pensano. Volete sapere cosa vogliamo? Vogliamo La dignità, la sensazione di essere veramente alla pari degli altri, l’accessibilità a tutti i servizi, da quelli essenziali a quelli frivoli, come tutti gli altri. Non chiediamo la luna, solo questo. Purtroppo c’è chi si meraviglia proprio per questo.  Dobbiamo preoccuparci. Significa che la società non è più abituata ai diritti, alla dignità, all’essere uomo, alle identità ed alle culture diverse. Dobbiamo riflettere e lavorare su questo.
Accessibilità: strana parola eppure è quello che noi chiediamo. Quando la chiediamo, dall’altra parte pensano ad uno scalino da abbattere, ad un ascensore da allargare. Quando parliamo di barriere, si pensa facilmente a quelle architettoniche ma mai a quelle della comunicazione (che ostacolano noi sordi) e a quelle culturali (che ostacolano tutti). Forse perché è più semplice abbattere uno scalino: chiamando un muratore è finita lì. Se però successivamente ne troviamo costruiti altri cento, è evidente che non si è ancora capita la lezione. Per le barriere culturali ci vogliono anni di costanza e perseveranza… Delle volte non bastano intere generazioni. La nostra Sezione Provinciale sta facendo da oltre dieci anni attività di sensibilizzazione a 360°, seminari anche a caratura nazionale sull’integrazione scolastica, attività culturali aperte a tutti per mostrare come siamo un mondo particolare ma non alieno e nemmeno chiuso e che l’integrazione non è un’utopia. Vogliamo mostrarci come esempi positivi, come risorse valide, come energia da vendere e non come un peso per la società, un costo da ridurre. Vorremo tanto partecipare a corsi di formazione per inserirci nel mondo del lavoro ma quando chiediamo accessibilità ci dicono: “tranquilli, qualcosa si trova” per poi trovarci un servizio scadente o improvvisato alla buona, oppure alla peggio ci rispondono: “mi spiace ma l’interprete solo per te costa troppo”. Cosa significa? I diritti valgono se siamo in tanti allora i costi si ammortizzano? Ritorniamo quindi al concetto della disabilità come costo?  Perché non ripensarlo invece come investimento? Formiamo questa risorsa con i mezzi che le permettono di apprendere al meglio e di mettere in mostra le sue capacità e le sue potenzialità perché diventi un valore aggiunto per questa società, perché la sua diversità possa essere ricchezza per tutti. Perché dobbiamo mortificarla e tarparle le ali?
In questi giorni sta andando in onda uno spot dell’Amplifon con un testimonial di eccezione: Lino Banfi. Premetto che personalmente mi piace come attore, in particolare in questo periodo di maturità artistica ma non mi piace lo spot, soprattutto nella parte in cui si vede l’audioprotesista che inserisce la protesi nell’orecchio ed il “sordo” torna a sentire. Nulla da dire sul progresso tecnologico che va avanti, ma mettere una protesi ad una persona che diventa sorda in età adulta non è la stessa cosa che metterla ad un bambino sordo. Inoltre non è così immediato il sentire, non dico bene ma sufficientemente: è un risultato che si conquista a prezzo di riabilitazioni, esercizi, sforzi ed allenamenti non indifferenti. Lo stesso vale anche per il miracolo dell’impianto cocleare: con una semplice operazione il bimbo torna a sentire. Nessuno avvisa però che il bimbo deve sottostare ad un programma di terapia riabilitativa con logopedisti e psicologi oltre a limitazioni ed attenzioni come ad esempio non avvicinarsi a campi elettromagnetici. Ma tutto questo i genitori di bambini sordi non lo sanno o fanno finta di non sapere. 
E’ qui che dobbiamo intervenire: dare informazioni alle famiglie, che sono le persone più deboli in questa società perché assimilano velocemente messaggi subliminali dai mass media che propongono immagini di famiglie benestanti e felici, del mondo dello spettacolo come unica spiaggia per un lavoro sicuro, della bellezza e dell’apparire come obiettivo primario della crescita, del consumismo sfrenato senza prospettiva e senza utilità per il futuro.  Da questi messaggi i genitori rimangono condizionati e pensano che la sordità sia una malattia da cui si può guarire e si affidano a dottori che troppo spesso danno informazioni di parte, seguendo i propri interessi magnificando i pro e omettendo i contro. Chi ne fa le spese però è il bambino sordo che perde terreno rispetto agli altri, non forma una propria identità forte che gli permette di crescere in autonomia e si sente diverso e non accettato.
Che dire poi della battaglia che ormai dura da troppi anni sulla LIS, la nostra lingua, rappresentazione perfetta della nostra cultura? In tutto il mondo ormai stanno aumentando paesi che riconoscono la Lingua dei Segni senza se e senza ma, in Italia no. Ci si arramipica sugli specchi adducendo motivazioni assurde e non condivisibili, frutto soltanto di superstizioni al grido di “Non usare le mani, usa la voce” e di ottusagini che perdurano da troppo tempo. Si ha paura di isolare i sordi, di creare comunità ghetto, di renderli al pari di scimmie (non dimenticherò mai la madre di un sordo che me lo disse), di renderli incapaci ad essere autonomi? Ma quando mai? In questa platea ci sono sordi segnanti, persone che se vogliono comunicare a voce, lo possono fare, nessuno glielo vieta, scelgono il metodo di comunicazione che reputano adatto alla situazione, ci sono sordi oralisti che frequentano l’università ma che non disdegnano a usare la LIS per comunicare e acquisire informazioni. E’ meglio creare sordi robot che hanno una bellissima voce ma che non capiscono nemmeno quello che dicono oppure persone autonome che esprimono le loro emozioni, i loro pensieri, le loro idee nella lingua e nei modi a loro congeniali?
Se voi cercate su Internet, troverete una marea di materiale, non solo in Italiano, dove viene riconosciuto da più parti come la LIS sia una lingua vera e propria, con le sue regole e la sua grammatica, pura rappresentazione di una minoranza linguistica culturale. Qualche giorno fa è stato pubblicato sul Corriere della Sera un articolo molto interessante sulla LIS e su come il disegno di legge ora fermo alla Camera, dopo l’approvazione al Senato, non sia un valido strumento di integrazione bensì di lesione dei diritti e di dignità dei sordi.
E’ come se da domani l’Unione Europea decida di cambiare il nome e di chiamare la nostra lingua: DIALETTO DELLO STIVALE. Lo accettereste? Anche su questo dobbiamo riflettere: manca l’apertura verso l’altro, verso colui che per qualunque motivo, comunque veniale, è diverso.
Non pretendiamo una rivoluzione culturale ma almeno uno sforzo globale per comprendere veramente le nostre esigenze.
Ultima riflessione: tira una brutta aria nel mondo del servizio pubblico, vedi scuola e sanità ad esempio. La qualità dei servizi offerti, non solo ai disabili, sta scendendo vertiginosamente: basti pensare al servizio sanitario di protesica per i disabili dato in appalto a ditte esterne. Siamo sicuri che non sia una manovra politica a lungo termine per portare i servizi all’ esterno, a organismi privati? In tal caso chiediamoci quale sarà la qualità dei servizi offerti allora, visto che ci sarà personale sottopagato e materiale scadente?
Per concludere, vorrei dire solo una cosa. Noi sordi spezzini amiamo paragonarci alle aquile: gli aquilotti non sono solo quelli che si vedono al Picco, ci siamo anche noi che ci siamo sempre sentiti aquile, figli di questa provincia, nel bene e nel male. Il nostro giornalino si chiama Aquile Silenziose, il nostro gruppo sportivo ha come logo un‘aquila. Come aquile voliamo sempre in alto, siamo abituati a volare alto, non ci fermiamo mai. Quando ci vedete in difficoltà, preoccupatevi, perché è nei momenti difficili che tiriamo fuori l’unità, ci sentiamo veramente fratelli e tiriamo su la testa pronti per volare ancora.
Questi sono tempi in cui dobbiamo essere uniti, non solo noi sordi, ma tutti, nessuno escluso. Non è tempo di personalismi, protagonismi, di lotte tra poveri: chi ci perde siamo sempre e solo noi. Non dimentichiamoci che anni e anni di conquiste e di diritti acquisiti si possono cancellare in un attimo e recuperare diventa sempre più dura.
Ecco il nostro segreto dei 90 anni: siamo arrivati ad oggi lottando uniti e siamo pronti con la stessa unità e solidarietà ad arrivare ai 100 anni vivendo nella speranza di una società migliore.
Auguri ENS."

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